Le Zone a Traffico Culturale – ZTC – sono cantieri che, occupando siti o monumenti del patrimonio culturale, attivano dinamiche locali e stimolano la produzione culturale condivisa e collaborativa coinvolgendo gruppi di cittadini nella realizzazione di eventi/opere proposti alla comunità e al territorio.
Le ZTC rappresentano l’innesco di un processo che può portare alla costruzione di Fabbriche Culturali di Prossimità, promuovendo il protagonismo della comunità locale. Sono luoghi di valore culturale che hanno subito una perdita di senso, generalmente legata alla trasformazione della funzione per cui erano nati: sono tipicamente i siti del patrimonio industriale, ma sono anche beni culturali minori come ville, castelli, luoghi di fede, di pregio culturale e artistico ma esclusi dalle principali rotte turistiche o dai grandi eventi culturali – generalmente concentrati in aree urbane o metropolitane.
Lo scopo di una ZTC è quello di creare un nucleo di artigiani locali della cultura che si impegnino nella creazione e organizzazione di un evento culturale specificamente ideato per restituire senso al luogo che lo ospita, riscoprendone, leonardianamente, il genius loci; una cultural factory, una piccola comunità artistica che si impegni nella realizzazione di un prodotto culturale condiviso e creato con un percorso partecipativo.
La poetica di ZTC
Le culture dell’Adda intrattengono un millenario colloquio col fiume. Una decisiva ragnatela d’acqua sostiene l’economia di questa valle, se potente è colui che possiede non latifondi ma concessioni idriche. Sulla riva, l’Adda convoca antiche cartiere, mulini, falegnamerie, tessiture che da fine Ottocento le centrali idroelettriche accelerano in attività industriali: gli impianti Edison di Cornate d’Adda, quello Enel di Trezzo sull’Adda, il villaggio operaio di Crespi d’Adda, la cartiera ex-Binda e la Velluti Visconti di Modrone di Vaprio d’Adda, il Linificio Canapificio Nazionale di Fara d’Adda e Cassano d’Adda. Le località rivierasche, dove l’economia si sgranchisce da agricola a industriale, portano nel nome il proprio segreto d’acqua: mettono al lavoro la dea Adda; mutano in dispositivo idraulico il fiume, che i Celti veneravano in figura di capricciosa divinità. Questa conversione dal sacro all’operoso scandisce un dramma storico in tre atti.
Sacri-ficio
L’Adda è una liquida ninfa, davanti a cui inginocchiarsi tremanti. Le sue acque irruenti appartengono agli dèi e non all’uomo, cui è proibito manometterle. Al cielo, egli tributa in libagione la grata parte di qualsiasi bene estragga dalla natura.
Opi-ficio
I mortali addomesticano il fiume, che diventa risorsa laica: l’acqua non è più abitata dagli dèi ma si offre al più efficiente sfruttamento. L’uomo modifica l’Adda a immagine e somiglianza delle proprie esigenze irrigue, di navigazione e industriali.
Arti-ficio
Dall’Adda mistica e intoccabile (sacrificio) a quella offesa e saccheggiata (opificio), l’arte può dare sintesi a queste opposte esperienze, mettendole in equilibrio? È possibile ricollocare artisticamente l’ansia produttiva dell’industria nell’antico rispetto per un fiume sacro.